NEWSLETTER ANIR 3/2013
Carissime/i, eccoci giunti ad un nuovo appuntamento. Speriamo farvi cosa gradita inviandovi la documentazione circa due interessanti iniziative di carattere culturale e religioso che potrebbero interessarvi. La prima, dal patriarcato di Venezia, la lettura di tutta la Bibbia, ininterrotta e per una settimana, e la seconda dalla diocesi di Milano la Carta di Milano 2013 proposta dal Forum delle Religioni. Possono servire per la riflessione personale e per la discussione in classe.
A proposito, invitiamo tutti gli insegnanti a segnalarci iniziative, diocesane e locali, che possono interessare il mondo della scuola e/o gli IDR, sarà nostra cura diffonderle a tutti gli iscritti alla newsletter e a segnalarle nel sito. Grazie.
Un cordiale saluto a tutte e a tutti, la segreteria A.N.I.R.
dal settimanale Gente Veneta:
Da domenica 14 “Bibbia senza sosta” a Venezia
La “voce” della Bibbia risuonerà a Venezia, per una settimana intera, senza interruzioni, giorno e notte. Capitolo dopo capitolo, libro dopo libro, prima l’Antico poi il Nuovo Testamento saranno letti da oltre mille persone, non solo italiane, nella chiesa di S. Pantalon a Venezia. Nella loro lingua madre (sicuramente inglese, tedesco, romeno, russo; e persino arabo e romanì, la lingua dei Rom) proclameranno la Parola che Dio ha consegnato all’umanità.
“Bibbia senza sosta” prenderà avvio domenica 14 aprile alle 17.30 (diretta su Bluradio Veneto). In campo S. Pantalon (in caso di pioggia nella vicina Scuola dei Laneri) si comincerà leggendo brani che introdurranno alla lettura della Bibbia, con intervalli musicali. Alle 18.00 il Rabbino capo di Venezia Ghili Benyamin terrà (in lingua italiana) una breve introduzione alla Bibbia. Alle 18.10 lo stesso rav Benyamin aprirà “Bibbia senza sosta” leggendo (in lingua ebraica) il primo capitolo del libro della Genesi; seguirà la lettura di Genesi 2 (in italiano) effettuata da un rappresentante della Chiesa Cattolica. Il terzo capitolo di Genesi, quindi, sarà letto (in lingua greca) da un esponente della Chiesa Ortodossa Greca.
Ci si sposterà quindi all’interno della chiesa di San Pantalon, dove proseguirà, a partire da Genesi 4, la lettura ininterrotta della Bibbia che durerà fino alle ore 12.00 circa di sabato 20 aprile.
Si potrà seguire la lettura del testo sacro, oltre che dal vivo, anche attraverso internet: si potrà accedere allo steaming radio e tv attraverso il sito www.bibbiasenzasosta.it e quello di Bluradio Veneto. Su Youtube si potranno trovare le immagini dell’inizio della manifestazione.
Chi non l’avesse già fatto può ancora iscriversi, consultando gli orari ancora disponibili sul sito di Bibbia senza sosta e seguendo le indicazioni riportate.
L’iniziativa è organizzata dal Consiglio locale delle Chiese cristiane di Venezia per celebrare il 20° della sua costituzione. (P.F.)
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per la segnalazione di un nostro iscritto:
Dal Forum delle Religioni a Milano
CARTA di MILANO 2013
Premessa ai Dieci Punti della CARTA di MILANO 2013
Le comunità religiose di Milano da anni hanno intrapreso un percorso di positivi incontri che hanno permesso di sviluppare rapporti di reciproca accoglienza e conoscenza. Tra i risultati più validi di queste relazioni interreligiose si può annoverare il Forum delle Religioni a Milano costituito il 21 marzo 2006.
Il Forum, partendo dalla convinzione che le grandi tradizioni spirituali con il proprio patrimonio di sapienza e di valori etici possano favorire la crescita di una società più armonica e inclusiva, più giusta e solidale, intende dialogare con le istituzioni civili affinché nello spazio pubblico della società siano garantiti i diritti alla libertà di coscienza, di opinione e di religione e siano accolte e stimolate azioni tese a promuovere la ricerca del bene comune dei cittadini e a collaborare per la sua realizzazione.
Il Forum esprime quindi la consapevolezza che le comunità religiose sono una componente della società plurale e operano all’interno dei suoi unitari principi costituzionali e del suo legittimo ordinamento giuridico. Esse pertanto possono offrire un positivo contributo alla continua edificazione della “casa comune” accettando che questa, nella libertà e nella democrazia, sia sempre la “casa di tutti i cittadini” al di là delle diverse appartenenze etniche, culturali e religiose, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Cost.It., art. 3)
In questa prospettiva, con la Carta di Milano 2013, il Forum propone alla società civile e alle sue istituzioni pubbliche un proprio contributo all’elaborazione di criteri ispiratori e di prassi operative che favoriscano rapporti corretti e costruttivi tra gli organi politici e amministrativi della polis da una parte e le comunità e associazioni religiose dall’altra.
Nel diciassettesimo centenario della storica iniziativa presa da Costantino e Licinio a Milano nel 313 a favore della libertà di religione, si intende, con il diretto coinvolgimento della Città e delle sue istituzioni, proporre all’attenzione di tutti alcune modalità di attuazione del fondamentale principio democratico della libertà religiosa, attraverso l’indispensabile dialogo fra le religioni e la feconda collaborazione con le istituzioni pubbliche.
Il Forum auspica che la Carta di Milano 2013 offra opportunità di confronto e di pubblica discussione per ampliare ulteriormente la portata dei suoi contenuti e per realizzare una sempre più fruttuosa convivenza tra le persone e una pace basata sulla giustizia, sulla partecipazione e sulla solidarietà.
I Dieci Punti della CARTA di MILANO 2013
1. Le comunità religiose riconoscono che l’attuale pluralità di fedi e di culti, oltre che dato storico irreversibile, rappresenta una condizione ricca di potenzialità positive che, favorendo l’incontro e la conoscenza reciproca, consentano di raggiungere un pieno e comune riconoscimento della dignità della persona. Esse si impegnano perciò a potenziare insegnamenti volti a rafforzare un maturo senso di solidarietà sociale, incoraggiando orientamenti e prassi conformi al riconoscimento della dignità della persona umana e alla libertà di coscienza, di convinzione e di religione.
2. Nel rispetto della Costituzione Italiana, ai fini della sua piena attuazione per ciò che riguarda i rapporti tra lo Stato e le singole comunità religiose, queste ultime si impegnano a favorire attività e pratiche volte allo sviluppo dei principi di uguaglianza tra i cittadini e del pieno esercizio della libertà religiosa.
3. Ciascuna comunità religiosa è invitata a prendere positivamente atto della storia e delle peculiarità culturali nonché delle mutazioni derivanti dalla continua trasformazione del tessuto sociale del paese in cui opera. Questo riconoscimento, purché non intacchi l’esercizio dei diritti di libertà e di uguaglianza, comporta la considerazione dell’ influsso esercitato sulla storia, sulla civiltà e sulla cultura di uno specifico territorio dai simboli, dai luoghi di culto, dalle tradizioni, dai riti e dai costumi propri delle religioni che vi sono state o vi sono praticate.
4. Le comunità di fede riconoscono il valore della cultura religiosa, nelle sue espressioni sia confessionali sia non confessionali, per la formazione e la maturazione della personalità umana. Auspicano altresì che tale valore venga adeguatamente coltivato insieme ai principi di solidarietà, responsabilità e partecipazione che la Costituzione Italiana pone a fondamento dello sviluppo della persona umana.
5. Nel contesto di una società sempre più culturalmente diversificata, diventa urgente promuovere una corretta informazione sulle diverse tradizioni religiose. A questo riguardo i mezzi di comunicazione di massa, la scuola e le varie comunità confessionali possono contribuire a superare la logica dello scontro o del pregiudizio nei confronti di altre comunità religiose per affermare, al contrario, una cultura del dialogo e della proficua convivenza.
6. Le istituzioni civili promuovano principi e pratiche che garantiscano l’uguale libertà delle comunità confessionali e rimuovano i residui ostacoli a una piena applicazione dei diritti costituzionali in questa materia.
7. La buona prassi di istituire consulte locali interreligiose tese a promuovere il confronto costante con le diverse comunità deve essere valorizzata e diffusa. A tal fine le istituzioni, a livello sia nazionale sia locale, favoriscano, come accade in altre parti del mondo, le reti del dialogo interreligioso sorte nell’ambito della società civile, con la consapevolezza che esse, in un’epoca di continue trasformazioni, contribuiscono al rafforzamento della coesione sociale.
8. La possibilità per tutte le comunità religiose di aprire e utilizzare adeguati luoghi di culto rientra a pieno titolo nel quadro dell’applicazione del diritto di libertà religiosa. Chi riveste responsabilità pubbliche favorisca l’attuazione di questo fondamentale principio di civiltà giuridica, di libertà e di democrazia.
9. L’applicazione dei principi di laicità e di libertà, espressi nella Costituzione Italiana, trovi un riscontro negli spazi pubblici (scuole, ospedali, carceri, uffici …) e nelle manifestazioni istituzionali, garantendo il rispetto delle diverse sensibilità dei soggetti coinvolti.
10. La consapevolezza della rilevanza sociale, culturale e spirituale della pluralità religiosa nella società di oggi sia rafforzata e diffusa anche in ambito civile attraverso iniziative di divulgazione sui temi della libertà di coscienza, di religione e convinzioni, nonché attraverso l’istituzione in sede civile di una giornata nazionale o locale dedicata alla celebrazione della libertà religiosa e di opinione.
RELIGIONI E SOCIETA’
Spunti di riflessione per il dibattito
I. Le religioni nello spazio pubblico della polis
1. All’interno di società multietniche e multiculturali ogni comunità religiosa deve essere consapevole dell’esistenza di altre religioni. L’ incontro e il dialogo tra la società civile e le grandi tradizioni religiose è fondamentale: è infatti su questo piano e non su quello della conquista di spazi di potere che si gioca il ruolo delle religioni nel modello di nuova società che si va delineando.
Tenendo conto di questo dato di fatto, è richiesto alle singole comunità religiose di riconoscere la legittimità, anche in linea di principio, dell’esistenza di questa pluralità. Le religioni quindi sono chiamate a impegnarsi in una ricerca che, partendo da quanto vi è di specifico in ogni tradizione, sia in grado di considerare la pluralità religiosa come una ricchezza spirituale, culturale e civile della società nel suo insieme. È pertanto necessario che si prendano le distanze da posizioni, non del tutto superate neppure oggi, che rivendichino a una singola religione il godimento di una posizione esclusiva o quanto meno privilegiata all’ interno della società.
2. Le religioni sono normalmente definite in base a tre parametri fondamentali: mito, rito, ethos. Per mito si intende l’insieme dei principi e dei racconti fondativi di una religione; per rito le prassi cultuali, cerimoniali o di altra natura (per es. regole relative all’alimentazione o all’abbigliamento) proprie e distintive di una comunità religiosa; l’ethos infine riguarda i comportamenti assunti e prescritti nei confronti degli appartenenti alla propria comunità e nei confronti delle altre componenti della società in cui si vive.
3. Nello spazio pubblico ognuno ha il diritto di professare e manifestare liberamente le proprie convinzioni, fermo restando il rispetto tanto della dignità della persona umana, quanto dei diritti degli altri membri della società. Pertanto, le comunità religiose non devono tentare di imporre alla società nel suo insieme la condivisione dei propri convincimenti o il rispetto di determinate regole rituali. È invece auspicabile che le convinzioni e le prassi rituali delle varie religioni possano essere conosciute all’ interno della società. In questo senso è opportuno che anche da parte delle singole comunità ci si impegni per la crescita di una cultura religiosa plurale. Questo impegno deve riguardare anche la pluralità interna alle singole tradizioni religiose, che non costituiscono necessariamente un insieme uniforme, ma possono ospitare sensibilità spirituali diverse.
4. L’ethos, infine, comporta un’interazione con persone e gruppi che non appartengono alla sfera propria di quella tradizione religiosa. Su questo terreno è quindi più diretto il confronto con principi e norme che, a partire da altri orizzonti, regolano la convivenza civile.
5. In relazione all’ethos si tratta non solo di tutelare spazi e tempi peculiari, ma anche di valutare regole di comportamento che devono essere conformi ai principi relativi alla dignità e all’uguaglianza delle persone propri delle società liberaldemocratiche. Le varie comunità religiose possono contribuire al bene comune educando i propri membri ad abbracciare motivazioni e idealità che abbiano riflessi positivi nell’ambito etico-politico. All’interno di una società plurale, quando gli appartenenti alle varie comunità religiose partecipano al dibattito pubblico volto a raggiungere decisioni comuni, essi non possono riferirsi soltanto a fonti interne e peculiari della propria tradizione. Spetta ai membri delle varie comunità religiose trascrivere convinzioni e principi loro specifici in motivazioni e argomentazioni comprensibili agli altri membri della polis.
II. Stato, Società civile, Religioni
1. Due sono i tratti che contraddistinguono, attualmente, la società in molti paesi: lo sviluppo della pluralità religiosa, includendo in questa espressione anche le persone che non si riconoscono in alcuna religione, e la crescita della visibilità delle comunità religiose nello spazio pubblico. Questi due processi pongono in discussione consolidate certezze, radicate nella sostanziale omogeneità del contesto religioso e culturale in cui si svolgeva la vita di gran parte delle popolazioni. Le odierne tensioni che attraversano le diverse componenti religiose, culturali ed etniche della nostra società sono in larga misura conseguenza di queste trasformazioni e richiedono una attenta riflessione sul modello di polis che si intende costruire.
2. Il punto di partenza di questa riflessione è la società civile, intesa come spazio dove persone e gruppi animati da differenti concezioni della vita e del mondo possono incontrarsi, conoscersi e confrontare i propri diversi progetti di vita e di organizzazione sociale. Distinta dalle sedi istituzionali (luoghi di legislazione e di garanzia delle regole democratiche della società), la società civile si configura come un luogo di dibattito e di sperimentazione orientato a costruire un’organizzazione sociale giusta e partecipata. Per raggiungere questo obiettivo è essenziale che la società civile sia libera e plurale: solo in questo modo diversi progetti ed esperienze esistenziali e sociali possono prendere corpo e mostrare che il bene dell’intera società può essere perseguito attraverso strade differenti. Più precisamente la presenza nella società di persone e gruppi che, partendo da universi valoriali diversificati, sono impegnati nella ricerca del bene comune, è fondamentale per almeno tre ragioni. Innanzitutto questo impegno ha un valore formativo, poiché produce “virtù civiche” indispensabili per formare buoni cittadini che le sappiano trasporre all’interno della più ampia comunità statale. Inoltre queste esperienze della società civile costituiscono il terreno di sperimentazione di progetti di organizzazione sociale che verranno in seguito proposti a tutti i suoi membri. Infine una società libera e plurale aiuta a comprendere che il bene comune non è un dato già acquisito in partenza, ma una conquista che matura attraverso il confronto tra esperienze diverse.
3. Uno Stato che si ispiri ai principi di libertà e democrazia non pretende di creare i valori che i cittadini debbono condividere né le attitudini che devono guidare la loro partecipazione alla vita della polis: ricava invece gli uni e le altre dalla società civile e li compone all’interno di un quadro giuridico in cui i diversi progetti di costruzione di una società giusta possano convivere. Per questi motivi lo Stato ha il compito di garantire il pluralismo della società civile: ciò significa in primo luogo che esso deve rispettarne la pluralità, evitando di identificarsi e di prestare il proprio sostegno soltanto a una o ad alcune realtà attive in questa area; significa poi che esso deve garantire pari opportunità di espressione nello spazio pubblico alle concezioni della vita e del mondo che sono sottese alle differenti esperienze sociali e culturali.
4. In questa prospettiva va considerata la laicità dello Stato, che non significa ostilità nei confronti della religione, ma innanzitutto neutralità e imparzialità delle istituzioni pubbliche nei confronti delle scelte religiose o non religiose dei cittadini, garantendo l’aconfessionalità dello Stato e rispecchiando sia la pluralità delle realtà sociali presenti sia la storia e le tradizioni peculiari di ciascun paese.
5. Nel contesto che si è cercato di delineare in precedenza, le religioni, con la loro stessa esistenza, contribuiscono ad affermare e arricchire il valore del pluralismo nella società civile introducendo nel discorso pubblico un interrogativo nuovo: la domanda sulla verità. Molte religioni infatti – in particolare quelle che affermano di essere fondate su una rivelazione divina – proclamano di essere portatrici di una verità che vale per tutti gli esseri umani. Ciò pone una questione fondamentale, quella del rapporto tra verità e libertà.
6. La vita sociale deve essere caratterizzata dalla libera ricerca del bene comune: a tale impegno di ricerca non può sottrarsi nemmeno chi ritiene di conoscere già la verità sull’uomo e sul mondo. Se si vuole evitare che la crescita della pluralità e della visibilità delle religioni si traduca in un aumento dei conflitti religiosamente motivati, ciascuna religione deve contribuire alla loro soluzione attingendo al proprio patrimonio spirituale, traducendolo e argomentandolo in termini a tutti comprensibili, accettando i limiti derivanti dal confronto civile e democratico. In questa prospettiva è possibile testimoniare incondizionatamente la verità della propria fede senza che ciò implichi affermare la sua superiorità sulle altre e il dovere di tutti di accettarla. Inoltre la libertà religiosa è fondata sulla dignità della persona umana: sostenere ciò significa affermare che è possibile partecipare pienamente al dibattito libero ed aperto nella società, senza che nessuno debba abbandonare o mettere tra parentesi la pretesa di verità della propria religione o visione del mondo.
III. Forme della presenza pubblica
Simboli
1. Uno dei temi che hanno suscitato maggiore dibattito negli ultimi anni è quello dei simboli religiosi nello spazio pubblico. Parte del problema è determinato dal fatto che la categoria dei simboli religiosi è estremamente complessa e diversificata. Qui si farà riferimento soltanto ai simboli che sono portati su di sé da una persona (una kippà, un turbante, un velo, ecc.) oppure sono esposti in una sede istituzionale o in un luogo pubblico (per esempio: una croce appesa al muro di una scuola pubblica, oppure un’ immagine religiosa all’ angolo di una strada).
2. Il primo criterio per affrontare questo tema è fondato sulla libertà individuale e collettiva, ovvero sul diritto delle persone di manifestare pubblicamente la propria identità attraverso un simbolo di natura religiosa. Per una società democratica è di fondamentale importanza che questo diritto venga pienamente rispettato nello spazio pubblico e che a esso siano opposti soltanto i limiti generali volti a tutelare la sicurezza, la sanità, l’ordine pubblico e a garantire che l’uso del simbolo religioso sia frutto di una scelta autonoma e consapevole e non di un’ imposizione. Entro questi limiti l’espressione delle proprie convinzioni più profonde anche attraverso l’uso di un simbolo rende visibile la molteplicità di fedi. Ciò può valere anche all’interno di luoghi istituzionali quando il simbolo è indossato non dal rappresentante dell’istituzione, ma dai destinatari dei servizi di quella istituzione (si pensi agli studenti di una scuola o ai pazienti di un ospedale pubblico).
3. La libertà degli individui e dei gruppi di esibire simboli religiosi può trovare un ulteriore limite nello svolgimento di funzioni pubbliche nelle sedi istituzionali per assicurare – anche visivamente – l’imparzialità verso tutti i cittadini.
4. Nell’ambito delle scuole pubbliche, in considerazione della loro funzione educativa, l’imparzialità non comporta l’automatica eliminazione di tutti i simboli. È infatti possibile raggiungere un consenso a livello locale per decidere vuoi l’esclusione totale, vuoi l’inclusione di più simboli religiosi. In molte scuole, per esempio, si è imparato a celebrare festività delle diverse religioni e a inserire queste celebrazioni in un nuovo percorso educativo.
Luoghi di culto
5. La possibilità di riunirsi per pregare e compiere atti di culto sta al cuore del diritto alla libertà religiosa. Essa è stata guadagnata in Europa a caro prezzo, attraverso lotte volte ad affermare il diritto al culto domestico prima e pubblico poi e ad abbattere le restrizioni imposte alle minoranze religiose. Oggi gran parte dei paesi europei garantisce, in linea di principio, ai fedeli di qualsiasi religione il diritto di avere una propria chiesa, sinagoga, moschea, tempio o luogo di riunione con le sole limitazioni previste dai regolamenti di pubblica sicurezza.
6. La possibilità di avere un luogo dove riunirsi per compiere atti di culto non deve dipendere dall’esistenza di buone relazioni tra un gruppo religioso e le istituzioni pubbliche. Essa discende dal diritto di libertà religiosa e quindi deve essere garantita a tutti.
7. Come tutti i diritti, anche quello di avere un luogo di culto non è senza limiti. Vi sono norme a cui deve attenersi una comunità religiosa che intende aprire un luogo di culto per garantire la sicurezza dei fedeli che lo frequentano e i diritti delle persone che abitano nelle vicinanze. Leggi e norme non devono avere carattere discriminatorio. Esse vanno interpretate ed applicate dalla pubblica amministrazione in modo da agevolare e non ostacolare l’apertura dei luoghi di culto e debbono essere osservate da tutti.
8. Infine il fatto che, in questo come in altri campi, i pubblici poteri assecondino le esigenze religiose dei propri cittadini non deve far dimenticare che la responsabilità di costruire e mantenere un proprio luogo di culto e di reperire i mezzi finanziari necessari, ricade, in primo luogo, sulle stesse comunità religiose: tale responsabilità costituisce infatti una delle più importanti espressioni della dimensione comunitaria insita in ogni religione.
Scuole
9. La scuola è un luogo in cui si trovano a convivere quotidianamente bambini, preadolescenti e adolescenti provenienti da aree linguistiche, culturali e religiose diverse. Essi sono accomunati dal fatto di trovarsi di fronte a una modalità di istruzione sostanzialmente unitaria. Gli indirizzi di fondo della scuola, sia pubblica sia privata, sono comuni e rivolti, prima di tutto, all’apprendimento di principi e nozioni condivise da tutti i cittadini.
10. La scuola dell’obbligo ha come compito precipuo quello d’insegnare i saperi indispensabili per un positivo e più consapevole inserimento delle nuove generazioni nella società. Tra le conoscenze di base rientra ormai il possesso delle concezioni di fondo proprie di una cultura religiosa plurale. Questo tipo di insegnamento andrà poi sviluppato nei successivi gradi di istruzione. È, quindi, compito della scuola fornire, in modo aconfessionale e culturalmente fondato, le conoscenze principali relative ai più diffusi sistemi religiosi e di pensiero presenti nel proprio paese. Questa conoscenza dovrebbe rientrare di diritto nella sfera degli insegnamenti comuni. La scuola è quindi chiamata a dare il proprio apporto al fine di educare tutti gli alunni, qualunque sia la loro provenienza e appartenenza confessionale, al rispetto dei principi di libertà religiosa stabiliti dalla Costituzione Italiana.
11. È opportuno che, nell’ambito dell’autonomia scolastica, si aprano spazi, individuati dai soggetti interessati (docenti, alunni, famiglie), per attivare forme di conoscenza e di confronto reciproci tra le diverse componenti confessionali presenti in una determinata realtà. Nella scuola pubblica deve essere inoltre possibile a genitori o ad alunni chiedere all’istituzione scolastica l’attivazione di corsi svolti da esponenti delle varie religioni. Anche questi insegnamenti debbono essere contraddistinti da un’impostazione di natura culturale, coerente con la finalità della scuola ed esente da ogni attitudine proselitistica o catechistica.
12. Anche per quanto riguarda le scuole private ad orientamento religioso, va ribadita l’esigenza di fornire gli elementi fondamentali di una cultura religiosa plurale e, al tempo stesso, va loro garantito il diritto di impartire il proprio insegnamento religioso confessionale.
Ospedali e carceri
13. Esistono luoghi – si pensi alle carceri e agli ospedali – dove per ragioni diverse le persone sono obbligate a risiedere, talvolta per un lungo periodo: la loro libertà è limitata e questi limiti possono ridurre anche la possibilità di praticare la propria religione. Questa è la ragione per cui, da secoli, chiese e comunità religiose si preoccupano di assicurare ai detenuti e ai degenti l’assistenza spirituale da loro richiesta, attraverso propri rappresentanti.
14. È pure compito delle autorità pubbliche garantire il rispetto di questo diritto all’assistenza spirituale e agevolarne l’attuazione pratica, tramite l’accesso a carceri e ospedali dei rappresentanti accreditati delle comunità religiose. Al di sopra di questo livello di base può essere opportuno assicurare all’interno dell’istituzione una presenza stabile dei rappresentanti di una religione, quando ciò sia necessario in ragione del numero dei fedeli di quella religione che risiedono nel carcere o nell’ospedale. In questo caso sarà buona norma che i costi di questa presenza stabile siano sostenuti dall’organizzazione religiosa interessata (anziché da fondi pubblici).
15. Infine è doveroso che dirigenti, operatori sociali ed eventuali assistenti religiosi presenti nelle istituzioni pubbliche (carcerarie, ospedaliere, ecc.) segnalino le richieste provenienti dai fedeli alle autorità religiose di questi ultimi.
Esequie e sepoltura
16. Una delle tradizioni a cui i fedeli tengono maggiormente è la sepoltura dei defunti secondo i riti e le cerimonie di commiato della propria religione e in una terra che ne porti i simboli. Questa possibilità non può essere negata quando non ostino motivi di natura sanitaria o di ordine pubblico. Su richiesta può essere prevista la possibilità di concedere alle comunità religiose che, per numero di fedeli ne abbiano la necessità, una porzione del cimitero municipale per la sepoltura dei propri fedeli. È altrettanto importante che vengano predisposti luoghi idonei per le cerimonie funebri degli appartenenti alle diverse confessioni religiose o alle persone non interessate ad esequie religiose.
CONCLUSIONE
Con i Dieci punti della Carta di Milano 2013 e con gli Spunti di riflessione per il dibattito il Forum delle Religioni a Milano si augura di poter contribuire ad un utile confronto sia tra diverse componenti della società civile, di cui le comunità e organizzazioni religiose sono parte, sia con le istituzioni che presiedono in modo democratico all’amministrazione e al governo della cosa pubblica. È proprio la prospettiva di una società democratica ad esigere che tutte le sue componenti l’arricchiscano dei propri valori e, nello stesso tempo, non pretendano privilegi o prevaricazioni.
In questa ottica le realtà religiose che aderiscono al Forum propongono la Carta di Milano 2013, nella consapevolezza che è necessario vigilare, sia da parte loro sia da parte delle istituzioni pubbliche, perché la presenza delle religioni nella società sia umile e costruttiva, sempre a servizio della persona umana e del bene comune, nell’interesse pubblico dello Stato democratico inteso come “la casa di tutti”.
Salve avrei una domanda: se sono laureata in teologia per insegnare tramite concorso è necessario il consenso ecclesiale?